venerdì 17 luglio 2015

Il monologo di E.

E., due anni e mezzo, faccia d'angelo, è sull'altalena.
Lo spingo un po', poi torno sulla panchina a chiacchierare con sua madre.
Dopo poco la dondola si ferma e lui mi chiama. Mi alzo, gli do qualche spinta, gli faccio solletico, faccio il verso del cane che lo vuole mordere, poi torno a sedermi. Dopo un po' l'altalena rallenta e lui mi chiama.
Così per cinque o sei volte: mi alzo e torno a sedermi; poi gli dico che, o impara a spingersi da solo, o cambia gioco, perché non ho più voglia di andare a spingerlo.
Mentre mi intrattengo con la madre e la sorellina, lo guardo dalla mia panchina: prima cerca di muoversi dimenandosi un po', ma non ottiene l'effetto sperato (però sono orgogliosa del fatto che sia un bimbo così pieno d'iniziativa).
Poi si ricorda della faccia d'angelo che possiede e inizia a fare gli occhi dolci al papà della bambina seduta sull'altalena a fianco della sua, che, fermo come un palo, continua a spingere la figlia sempre alla stessa velocità (lenta, ma comunque meglio di quello che E. riesce a fare da solo).
Ma quel signore non perde l'espressione del viso e la postura di un palo di legno, come quello dell'altalena cui è appoggiato.
Allora E., con grande divertimento mio e della sua mamma, fa gli occhiacci al signore, e sarebbero davvero occhiate capaci di confondere il destinatario con la loro carica di rimprovero e minaccia, se solo il destinatario stesso le percepisse. E invece, l'uomo, resta impassibile.
Infine vediamo E. che, esasperato, getta dalla sua altalena ferma, frasi piene di disprezzo in faccia a quell'uomo insensibile al suo fascino (ma deve pronunciarle a voce molto bassa perché quel signore continua a non accorgersi di niente, mentre noi, dalla panchina, ci ammazziamo dalle risate!).

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