venerdì 26 giugno 2015

Post dal timbro fortemente onirico (in senso negativo).

Dormo poco. Pochissimo. Quasi sempre.
Ma stanotte, proprio niente.
Disperazione. Ascolto come batte il cuore. 
Batte male. Morirò per la mancanza di sonno?
Alle tredici, con il cervello imbottito di voglia di dormire, dopo aver aiutato A. nei compiti vado al McDonald’s per un panino al salmone, quello di cui vedo spesso passare la pubblicità in TV in questi giorni.
La commessa mi assicura che non esiste alcun panino al salmone, non lì da loro.
Me ne vado, e mentre pedalo penso che la mia vita è orribile: un orribile incubo in cui non c’è giustizia, né rispetto e delicatezza e nemmeno un po’ di correttezza e lealtà. E l’unica cosa che posso fare è amare un pochino. Cercare di amare il più possibile, che, come risultato, per me si traduce nell’amare un pochino. E questo amore è la sostanza di cui sono fatti i pochi momenti buoni vissuti questa settimana. Ma per me, niente.  Posso solo cercare di dare, dare dare, per avere indietro qualcosina, ma nulla per me.
Perché penso questo? Cosa mi è successo? Credetemi, qualche motivo ce l’ho.
Un’avvocato che avrebbe dovuto patrocinare i miei amici e che invece si è comportata in maniera vergognosa. Un venditore di auto che mi ha fatto andare fino a Milano per vedere un’auto in vendita nel suo capannone e poi (dopo un viaggio piuttosto costoso), non sapeva dirmi niente del funzionamento della vettura. Il mio medico, un pomposo sbruffone sessantacinquenne che trova sempre molto buffi me e i miei malanni, arriva mezz’ora (almeno) più tardi rispetto all’orario dichiarato e chiacchiera, tutto tronfio, di cose di cui non mi interessa e neanche capisco bene il senso (qualcosa, comunque, di molto ironico nei confronti della categoria dei pazienti). L’anno lavorativo appena concluso fitto di umiliazioni, ma soprattutto, di delusioni. Delusioni, tutti mi deludono. Nel migliore dei casi approssimativi e cialtroni, oppure egoisti ed ottusi, quando non deliberatamente cattivi (di questi non so se ne ho incontrati).
Niente per me.
Mentre, nella mia mente ottenebrata dal sonno, si fa largo qualche timida obiezione a questa spaventosa visione della realtà (ad esempio: cosa intendo con “qualcosa per me”? Un sogno d’amore da romanzetto rosa? Se no, che cosa di reale? Sinceramente non so rispondere a questa domanda), mi vengono in mente tutte le cose “per me” che mi sono state donate questa settimana:
Mia madre ci ha offerto il pranzo al Caffè Concerto (gesto d’amore da mamma: lei non c’era nemmeno) e siamo stati molto bene;
S. con cui ieri ho chiacchierato per ore a ruota libera, rilassandomi tantissimo;
C. mi ha preparato e regalato dei bastoncini da mettere nei vasi per tenere lontani i piccioni;
Quel medico pomposo e fastidioso, però, mi ha detto di me cose che alle mie orecchie suonano come una musica meravigliosa: “le sue analisi vanno bene” e “lei è solo leggermente sovrappeso” (calcando la voce sull'avverbio);
N. che mi ha garantito di voler esserci per me (va bene, se ha sbagliato in passato, cosa vogliamo fare? Non credergli mai più?).

E così ho dovuto chiedermi se, davvero, posso dire che non c’è niente per me o se, ancora una volta, in quest’assurda, vertiginosa, incoerente e terribilmente precaria realtà in cui siamo stati proiettati nostro malgrado, non sia tutta una questione di sguardo.

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