Ieri è stata una giornata dura.
La notte non avevo dormito pensando all'ingiustizia che colpisce G, alle prospettive sue e dei suoi bambini per il futuro e al fatto che
dovrò morire.
In questi giorni la consapevolezza che dovrò morire mi sgomenta:
ma come? E dove andrò? Visto che tante paure che avevo, di eventi terribili che
si sarebbero potuti abbattere su me e la mia famiglia, si sono avverate; visto
che più vado avanti più vedo che tutti gli uomini (e le donne) sono
terribilmente meschini, approssimativi e superficiali (pochi se ne salvano e,
forse, solo perché non si sono ancora svelati del tutto); vista la naturalezza
con cui migliaia di persone vengono triturate dalla cieca violenza dei propri
simili o da eventi naturali; visto tutto questo, come posso credere che esista
il Paradiso?
Ieri, anche se ero stanchissima, sono andata a prendere i bambini
a scuola (dopo otto ore di lavoro nella mia, di scuola), perché G voleva
andare al consultorio per una visita.
Siamo stati in giro perché volevo evitare di urlare con loro,
visto che sono così stanca e, di conseguenza, non ho molta pazienza.
Alle otto siamo tornati a casa, i due fringuelli volevano dormire
da me, ma sono riuscita a resistere. Avevo troppo bisogno di riposarmi.
Abbiamo trovato G sofferente per la visita subita, e per gli occhi che lacrimano in continuazione a causa
dell'allergia ai pollini.
I bambini facevano i birichini e lì, sì, ho urlato. Mi sembra di
dover raccogliere l'acqua del mare con un colabrodo: mi scappa via da tutte le
parti e ne arriva sempre di nuova. Sempre nuovi problemi. E, in più, la paura
di morire. Voglia di mollarli tutti con i loro problemi: io sono italiana, sono
cresciuta all’epoca dei Paninari e dell’Edonismo Reaganiano. Anche se adesso
sta crollando tutto quel mondo, anche se ora ci viene presentato il conto per i
settant’anni di pace che abbiamo vissuto (e, soprattutto, per come li abbiamo
gestiti, questi anni di pace), perché non tiro i remi in barca e non mi godo le
poche vestigia rimaste di quell’epoca dorata, finché posso?
Mi vengono in mente i visetti dei bambini, come sempre in primo
piano Ch., quello che io considero mio figlio, poi E. (due anni, faccia
d’angelo) e A. (cinque mesi, bellissima). E mi rimprovero: credi di essere
Dio? Guarda che ce la possono fare anche senza di te.
Quando sono uscita ho trovato un po' di pace ricordando il libro
di Giobbe ("...sai tu quando figliano le camozze?" E' vero: non lo so
e se l'avessi saputo l'avrei dimenticato!). Mi sono tranquillizzata
ulteriormente dicendomi che è assurdo vivere nel terrore per qualcosa (la
morte) che avverrà certamente. Non abbiamo nessun’altra certezza così
schiacciante. Quindi, coraggio.
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